La depressione

depressione

La depressione – diceva Jung – è una signora in nero, quando appare non bisogna scacciarla ma invitarla alla nostra tavola per ascoltare cosa ci dice.

Nella vita può capitare di sentirsi tristi, scoraggiati, svogliati o pieni di sensi di colpa;  le cause possono essere svariate, per esempio un evento particolare come la morte di una persona cara, la perdita di un lavoro, la fine  di un amore o di un’amicizia intensa, una catastrofe naturale. Gli stati appena descritti, in realtà, sono reazioni fisiologiche normali ad eventi che suscitano tristezza, dispiacere, scoraggiamento, e  fanno parte del nostro essere, della nostra sensibilità ed affettività.

Quando si parla di depressione, si fa riferimento a qualcosa di molto più pervasivo, costante nel tempo ed intenso. In psicologia, la depressione viene, spesso, descritta come un’alterazione della percezione del tempo e dello spazio.

La persona depressa è come intrappolata tra un passato insopportabile ed un presente statico; il senso del futuro, del vivere non sono contemplati, lo stesso senso dello spazio si riduce; si perde la volontà del “muoversi”.

La depressione non è uno stato d’animo che si può superare da soli con uno sforzo di volontà, ma, bensì, un disturbo frequente, nello specifico, il disturbo psicologico che causa maggiore sofferenza e disabilità nella popolazione. La depressione è un disturbo del “tono dell’umore”. Il tono dell’umore è una funzione psichica importante nell’adattamento al nostro mondo interno ed a quello esterno. La depressione è identificabile attraverso una combinazione di sintomi che durano da almeno 2 settimane: tristezza, significativa perdita di peso o aumento di peso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza d’energia, sentimenti di autosvalutazione, ridotta capacità di concentrazione o indecisione, e infine pensieri di morte o ricorrente ideazione suicida con o senza piano specifico.

Come può aiutare la psicoterapia junghiana?

Carl Gustav Jung era solito dire che la depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria tavola ed ascoltare. Ascoltare la depressione vuol dire penetrare dentro i suoi meccanismi; ascoltare la depressione vuol significare coglierne i contenuti, i nuclei essenziali, che ne fondano i meccanismi stessi.
Nel percorso terapeutico, per aiutare la persona depressa, che, come si accenna all’inizio di questo articolo, è immobile, senza energia, senza nuove prospettive,  si pone necessario un qualche elemento che agisca come una sorta di shock, che scuota la coscienza: in analisi junghiana si può utilizzare il sogno.

Per Jung, il sogno esprime, con il suo linguaggio immaginale e metaforico, un suo punto di vista sulla situazione psichica del sognatore. Il sogno allarga lo sguardo e restituisce al sognatore un’altra immagine di sé: lo pone dinanzi ai suoi limiti, alle sue illusioni, ai suoi istinti rimossi, a ciò che generalmente viene trascurato di sé e degli altri; il sogno ci mostra la nostra Ombra, quella parte del nostro essere, cioè, che non siamo abituati a vedere.
Nel caso della depressione, i sogni possono aiutare, per esempio, a vedere la propria rabbia latente, la propria aggressività sepolta, legata a tutte quelle persone e/o situazioni che hanno, per così dire, “dimenticato” di prendersi cura, di fornire quel calore emotivo necessario alla propria crescita. Nel caso di rabbia latente, ad esempio, se, durante la terapia, si riuscisse ad aiutare il paziente a canalizzarla in maniera costruttiva, essa potrebbe trasformarsi in quella giusta dose di assertività che permette di prendersi i propri spazi per affermare se stessi (a tal proposito è interessante notare come nelle persone depresse siano frequenti sogni di animali che lottano per il territorio e che rispondono istintivamente ad una situazione di difficoltà [Russack 2002]).

“…Da un punto di vista individuale e clinico, l’analista junghiano non cerca tanto di guarire le malattie dei pazienti, quanto di aiutarli a scartare le scorie che li imprigionano, di distruggere le calcificazioni psichiche, la pietraia impersonale che ricopre la forma vera e individuale di ognuno”. C. G. Jung

E ancora:

“…La vita è piena di speranza, di brutalità, di dolore, di malattia e di morte, tuttavia ha una pienezza, una soddisfazione, una bellezza emotiva insondabile…

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